La settimana appena trascorsa a Wall Street ha presentato alcuni spunti interessanti, tra cui quello che
gli investitori fanno fatica a comprare le azioni sui ribassi. Diversamente da quanto accadeva fino a qualche mese fa, quando ogni calo era un'occasione per aggrapparsi a un rally che correva inarrestabile, oggi il mercato mostra molta più cautela (
Wall Street: il buy the dip svanisce, prevale l'effetto Trump). Secondo i dati di EPFR Global, nella settimana fino al 12 marzo, sono stati registrati deflussi dai fondi azionari globali per 2,8 miliardi di dollari, segnando il più grande riscatto del 2025.
Le preoccupazioni sull'arrivo di una recessione negli Stati Uniti scatenata dalle guerre commerciali sono in crescita, mentre le tensioni geopolitiche non si allentano. Ora le attese sono per la riunione della prossima settimana della
Federal Reserve, che non dovrebbe riservare sorprese rispetto all'aspettativa di tassi fermi. Sarà però importante il punto di vista della Banca centrale sulla possibilità di una recessione economica e sull'approccio della politica monetaria di fronte a questa eventualità.
Wall Street: ecco perché non c'è un mercato ribassista
Wall Street sta sottoperformando rispetto ad altri mercati azionari come quelli europeo e cinese, al punto da chiedersi se c'è da preoccuparsi. Michael Hartnett, strategist di Bank of America, parla di "correzione e non di un mercato ribassista delle azioni statunitensi". Occorre ricordare che un mercato è ribassista quando le quotazioni scendono di oltre 20 punti percentuali rispetto all'ultimo massimo registrato.
Hartnett reputa che ciò non avverrà perché il crollo delle azioni provocherà probabilmente un intervento politico del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e della Federal Reserve. "Dal momento che l'orso azionario minaccia la recessione, nuovi cali dei prezzi delle azioni provocheranno un capovolgimento della politica commerciale e monetaria", ha affermato.
Lo strategist ha raccomandato di acquistare l'indice S&P 500 quando scende a 5.300 punti, perché a quel livello indicherebbe che il sell-off è finito se accompagnato da ulteriori deflussi azionari, un'impennata di liquidità degli asset manager a oltre il 4% delle attività gestite e un ampliamento degli spread societari high yield statunitensi a 400 punti base.
Insomma, per Hartnett non si configura una situazione allarmante, anche se egli preferisce per quest'anno le azioni internazionali rispetto a quelle a stelle e strisce.
Anche gli esperti di JPMorgan Chase hanno una visione complessivamente positiva sul mercato azionario americano: in questo momento, rilevano, le azioni statunitensi stiano scontando un rischio di recessione molto più ampio di quanto dicano i mercati obbligazionari e ciò potrebbe riservare una sorpresa positiva.
"L'S&P 500 sta attualmente valutando una probabilità del 33% di una recessione negli Stati Uniti, mentre il credito sta considerando una probabilità dal 9% al 12%", hanno scritto in una nota. "Sebbene vi sia un'incertezza chiaramente elevata nel breve termine, poiché l'amministrazione Trump ha almeno inizialmente dato priorità a politiche più dirompenti, il rischio è che i mercati del credito abbiano ragione", hanno affermato.