Sono settimane di tensione e nervosismo sui mercati, con l’umore degli investitori molto volubile tanto in America quanto in Europa. A questa tendenza non si è sottratta nemmeno la scorsa ottava, caratterizzata da bruschi movimenti degli indici di Borsa.
Un filo comune a questo nervosismo è dettato dall’agenda politica ed economica degli Stati Uniti. La seduta di martedì ha mostrato in modo chiaro e netto come il tema dazi sia il market mover più importante in questo momento. La conferma dei dazi a Canada, Messico e Cina ha scatenato un’ondata di vendite su tutti i listini azionari globali. Il passo indietro, per ora momentaneo, dell’amministrazione Trump ha portato un riequilibrio del sentiment, specie sul fronte europeo.
Il vero punto interrogativo è rappresentato dalle conseguenze di questi dazi tanto sul fronte della gestione dell’inflazione quanto sul peso economico per tutte le aree interessate. Fino a quando non si avrà maggior chiarezza su questo tema l’umore del mercato non cambierà, con il nervosismo che riemergerà ogni qual volta Donald Trump farà la voce grossa. Un centrifugato d’emozioni che sembra un vero e proprio frappè in salsa americana.
Prezzi USA sotto i riflettori
Dopo le indicazioni arrivate venerdì scorso dal mercato del lavoro USA, quella che inizia oggi sarà la settimana dei dati sull’andamento dei prezzi. Mercoledì l’appuntamento è con l’inflazione del mese di febbraio (CPI, Consumer Price Index) mentre giovedì sarà la volta dei prezzi alla produzione (PPI, Producer Price Index).
Come del resto anche le payrolls, si tratta di numeri che ci diranno molto sulle future mosse della Federal Reserve: se, per il meeting del 19 marzo le probabilità di una conferma dei tassi sono a livelli “bulgari” (fonte FedWatch Tool del CME), nel caso della riunione di maggio un nuovo taglio raccoglie oltre il 40% di possibilità.
Molto dipenderà anche dall’impatto dei dazi: la loro introduzione potrebbe sia rilanciare i prezzi al consumo, e quindi consigliare prudenza, e sia indebolire l’economia, e quindi spingere all’azione l’istituto con sede a Washington (per la Fed di Atlanta il PIL statunitense nel primo trimestre scenderà del 2,4%).
L’introduzione ed il successivo ritiro delle tariffe per ora sta solo generando confusione: se c’è una cosa che, più dei dazi, gli operatori non sopportano è l’incertezza (l’ultimo Beige Book della Fed conteneva 45 riferimenti a questo termine). Tra gli altri dati in calendario troviamo gli indici sull’andamento della produzione industriale in Gran Bretagna, Germania, Zona Euro e Italia (a dicembre quest’ultimo dato ha registrato il ventitreesimo mese consecutivo in rosso).
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