Il cambio EUR/USD è ovviamente il più osservato del pianeta. Per importanza e maturità finanziaria le due economie di Stati Uniti ed Europa rappresentano il cuore pulsante del commercio globale assieme a due Paesi orientali come Giappone e Cina.
Ma EUR/USD è soprattutto lo specchio di tensioni geopolitiche e attese economiche da parte dei mercati finanziari, con sullo sfondo le politiche monetarie di FED e BCE che ne alterano il percorso in un costante oscillare che da anni vede il biglietto verde vincente.
Fino a quando la Federal Reserve si mostrava "dovish", EUR/USD saliva. Poi il cambio di atteggiamento di Powell ha riportato interesse sul biglietto verde con un vantaggio differenziale di tasso che ha ripreso ad allargarsi verso i principali titoli di stato europei.
Nel frattempo la BCE prendeva atto di un tasso di inflazione in costante ribasso all’interno di Eurolandia con un’economia stagnante che, a differenza degli Stati Uniti, rendeva necessario tagliare i tassi di interesse rendendo sempre meno attraente l’euro.
Nel messo la geopolitica e i dazi di Trump. La guerra in Ucraina ha indebolito la capacità dell’Europa di essere competitiva sul fronte dell’energia costringendola al tempo stesso a dirottare risorse verso un paese non membro ma ai confini dell’Unione.
Fino a quando l’amministrazione americana era guidata da Biden la solidarietà nel sostenere le spese militari ha retto, ma con l’avvento di Trump tutto il castello è crollato con il rischio adesso non solo di veder evaporare oltre tre anni di impegno politico e militare, ma anche di essere colpiti da pesanti dazi all’export verso gli Stati Uniti con Germania e Italia tra i paesi più penalizzati.
Forex: EUR/USD, i mercati non vogliono la parità
Nonostante tutto il mercato deve essere in grado di vedere qualcosa di diverso. Dall’insediamento di Trump, seppur a fatica, è stata confermata la capacità dell’euro di ritestare i supporti di 1,02 e tentare un nuovo assalto alle resistenze di 1,05.
Perché sta accadendo questo è difficile capirlo. L’Europa verrebbe colpita duramente dai dazi e l’esclusione dalle trattative con la Russia è uno schiaffo politico.
Il doppio (forse anche triplo) minimo collezionato in area 1,02 da parte di EUR/USD ha fornito un segnale importante. I mercati che non vogliono in questo momento spingere l’euro sotto la parità. Quello rimane l’obiettivo ancora aperto e il rimbalzo in corso rimane tale senza invalidare lo stato "bearish" della struttura grafica.
La media mobile a 100 giorni, e ovviamente il massimo di fine gennaio posizionati tra 1,05 e 1,06, sono un vero e proprio banco di prova per la moneta europea.
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Se dovessero arrivare messaggi da Francoforte circa uno stop prudenziale causa dazi sul fronte dei tassi di interesse lo strappo verso l’alto del cambio potrebbe consumarsi.
La stessa pace in Ucraina sarebbe un evento "bullish" per l’euro così come una non scontata (ma neanche improbabile) sfiducia del mercato verso le politiche di Trump potrebbe mettere in difficoltà gli asset americani e di conseguenza un dollaro che nessun money manager in giro per il mondo al momento sembra essere disposto a "shortare" come confermato dal sondaggio pubblicato recentemente da Bank of America. Al mercato l’ultima parola.