Uno dei principali problemi che ha dovuto affrontare il nostro ordinamento nell'ambito dei rapporti tra le banche e le imprese non finanziarie è stato quello delle partecipazioni. Qui si distinguono due tipologie: le partecipazioni a monte, ossia quelle detenute dalle imprese negli enti creditizi; le partecipazioni a valle, ovvero quelle delle banche nelle imprese. In questo testo esamineremo le due tipologie, mettendo in rilievo quali sono i limiti stabiliti dall'ordinamento e le problematiche ancora in essere.
Banche: le partecipazioni a monte
Le imprese che acquistano partecipazioni in una banca vanno incontro a dei limiti stabiliti dalla legge. I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è che un'impresa potrebbe trovarsi nella condizione di essere nello stesso tempo azionista e debitore della banca, generando un problema di conflitti di interesse. In sostanza, l'azienda di credito potrebbe favorire la società a cui ha concesso un finanziamento nell'ambito della valutazione del merito creditizio e di conseguenza nel tasso applicato per il prestito. Quest'ultimo potrebbe essere più basso rispetto a quello che altrimenti la banca avrebbe applicato se non fosse partecipata dall'impresa.
Il secondo motivo, legato al primo, è che si verrebbe a creare una sorta di inefficienza allocativa delle risorse bancarie, con conseguente danneggiamento per i depositanti. Non bisogna dimenticare, infatti, che gli istituti di credito concedono prestiti proprio utilizzando il denaro depositato dai risparmiatori.
Queste problematiche erano trascurate fino agli anni '80, per il fatto che le partecipazioni delle imprese nelle banche erano esigue e comunque minoritarie, soprattutto perché non c'erano grandi disponibilità finanziarie. Tra l'altro, in prevalenza gli istituti bancari erano sotto il controllo statale e la
Banca d'Italia interveniva per assicurare che il sistema finanziario funzionasse in maniera corretta. Quando nel 1994 è entrato in vigore il Testo Unico Bancario (TUB), contestualmente alla privatizzazione di molte banche, la situazione è cambiata e il sistema finanziario ha iniziato ad aprirsi maggiormente alle imprese in ambito di un processo di crescita per entrambe.
Alla luce di tutto questo, la legge oggi prevede che le imprese non finanziarie non possono detenere più del 15% del capitale di una banca affinché sia garantito il principio di separatezza; mentre quelle finanziarie che acquistano più del 10% del capitale sociale della banca devono ricevere l'autorizzazione della Banca d'Italia. Il processo si ripete se la soglia poi supera il 20%, il 30% e il 50%. L'autorizzazione è richiesta comunque se viene acquisito il controllo della banca indipendentemente dalla quota di partecipazione.
Le partecipazioni a valle
La partecipazione a valle implica che sono le banche a partecipare il capitale di un'impresa. Anche qui il problema principale è il potenziale conflitto di interesse che si verrebbe a determinare, con le stesse modalità e conseguenze di quanto illustrato sopra. La normativa stabilisce delle regole che valgono sia per le quote nelle imprese finanziarie che per quelle nelle imprese non finanziarie.
Fino al 2008, era stabilito il vincolo partecipativo del 15% in imprese non finanziarie, ma una delibera del
Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) ha ampliato i limiti di partecipazione, facendo cadere il vincolo. Tuttavia, vi sono delle soglie da rispettare in rapporto al patrimonio di vigilanza del partecipante. Quest'ultimo è costituito dal patrimonio netto e dalle obbligazioni subordinate. Di base, vale il principio generale che per tutte le tipologie di imprese, il totale delle partecipazioni da parte delle banche sommato al totale degli immobili, deve essere inferiore al patrimonio di vigilanza.
La normativa previgente prevedeva che le partecipazioni nelle imprese non finanziarie richiedevano intanto una distinzione tra banche ordinarie, banche abilitate e banche specializzate. Queste ultime due si differenziano dalle banche ordinarie soprattutto per il patrimonio di vigilanza. Le abilitate hanno tale patrimonio di valore almeno pari a 1 miliardo di euro, oltre a un'adeguata esperienza nel comparto.
Le banche specializzate rispettano sempre la regola del patrimonio di vigilanza non inferiore a 1 miliardo di euro, ma la loro struttura del passivo è caratterizzata da una raccolta prevalentemente a medio lungo termine. In questo contesto, vi erano limiti di concentrazione (massima partecipazione in una singola impresa in rapporto al patrimonio di vigilanza), limiti complessivi (massima partecipazione totale in rapporto al patrimonio di vigilanza) e limiti di separatezza (massima partecipazione singola in rapporto al capitale della partecipata).
Quest'ultimo limite era lo stesso per ogni tipologia di banca e ammontava al 15%. Tuttavia, era ammesso il superamento se il valore della partecipazione e la somma delle eccedenze rispetto al limite erano contenuti entro una determinata percentuale del patrimonio di vigilanza (1% per le banche ordinarie, 2% per le banche abilitate e specializzate).
I limiti di concentrazione erano così distribuiti:
- banche ordinarie - 3% del patrimonio di vigilanza;
- banche abilitate - 6% del patrimonio di vigilanza;
- banche specializzate - 15% del patrimonio di vigilanza.
Quanto ai limiti complessivi, si aveva quanto segue:
- banche ordinarie - 15% del patrimonio di vigilanza;
- banche abilitate - 50% del patrimonio di vigilanza;
- banche specializzate - 60% del patrimonio di vigilanza.
La nuova disciplina impone per ogni tipo di banca il limite di concentrazione del 15% del patrimonio di vigilanza e il limite complessivo del 60% del patrimonio di vigilanza. Mentre non eiste più il tetto del 15% sul capitale della partecipata.
Il passaggio dal divieto di partecipare un'impresa non finanziaria per più del 15% del capitale al divieto di non parteciparla con riferimento al 15% del patrimonio di vigilanza può avere delle implicazioni in termini del principio di separatezza. Infatti, oggi una banca può benissimo avere il controllo del 100% di un'azienda se questa è di piccole dimensioni e quindi non fa venire meno il rispetto del vincolo relativo al patrimonio di vigilanza.
Per quel che riguarda le imprese finanziarie, nella normativa prima del 2008 era necessario chiedere l'autorizzazione preventiva alla Banca d'Italia se:
- la partecipazione superava il 10% e poi il 20% del capitale della società partecipata e in caso di acquisizione del controllo;
- la partecipazione superava il 10% del patrimonio di vigilanza della banca partecipante;
- avveniva l'acquisizione di controllo di società strumentali.
Non c'era invece alcun limite nella detenzione di quote nelle imprese finanziarie, se queste riguardavano banche, società finanziarie e strumentali. Diverso era il discorso per quanto atteneva alle partecipazioni nelle compagnie di assicurazione, dove vigeva il limite del 40% del patrimonio di vigilanza.
La nuova normativa invece stabilisce una soglia autorizzativa del 10% del patrimonio di vigilanza, oppure se si esercita controllo o influenza notevole, per le partecipazioni in banche, società finanziarie e imprese di assicurazione. Quanto alle quote nelle società strumentali, l'autorizzazione riguarda solo il controllo e l'influenza notevole.