Crac Parmalat: come un gioiellino è svanito nel nulla | Investire.biz

Crac Parmalat: come un gioiellino è svanito nel nulla

04 lug 2020 - 09:00

06 dic 2022 - 09:39

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La vicenda di questi giorni di Wirecard riporta alla mente il più grande crac finanziario europeo. Ecco come una montagna di debiti mandò una grande azienda in bancarotta

Falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Furono questi i principali capi di accusa che il Tribunale di Milano emise nei confronti del gruppo guidato dall'allora imprenditore Calisto Tanzi, di fronte a un buco monstre di 14 miliardi di euro.

Con una sentenza passata in giudicato in Corte di Cassazione, il patron di Parmalat fu condannato nel 2014 a una detenzione di 17 anni, mentre il suo braccio destro Fausto Tonna a 9 anni di reclusione. Altri, come la nipote di Tanzi, Paola Visconti, patteggiarono pene più lievi, altri ancora furono prosciolti.

Alcune istituzioni di spicco come Morgan Stanley, Bank of America, CitiGroup e Deutsche Bank furono assolti per il reato di aggiotaggio informativo. E 30.000 risparmiatori che avevano investito nelle obbligazioni Parmalat inizialmente non ottennero alcun rimborso, in seguito riuscirono a recuperare il 68% del capitale investito.

Complessivamente, dei 29 imputati di quello che all'epoca fu il più grande crac europeo consumato da un'azienda privata a pagare furono in pochi, molti la fecero franca. Ma riviviamo la storia di Parmalat, dalla sua fondazione al passaggio in mano francese. 

 

Tanzi: l'ascesa di un imprenditore che trasformò una piccola azienda familiare in multinazionale

Parmalat vide la luce nel 1961 a Collecchio, in una provincia del comune di Parma. A crearla fu il giovane Calisto Tanzi che, una volta abbandonati gli studi universitari, si dedicò anima e corpo alla gestione dell'impresa familiare. Durante un viaggio nell'Europa del Nord, il piccolo imprenditore intraprendente vide come il latte veniva venduto in confezioni di cartone e non di plastica come in Italia. A quel punto ebbe un'intuizione: usare il Tetrapack per confezionare il latte e sviluppare l'Uht per conservarlo a lungo.

Il successo fu enorme, non solo nella provincia di Parma, ma anche a Genova e Firenze. Nell'arco di un decennio il fatturato dell'azienda emiliana passò da 200 milioni di lire a 100 miliardi. Gli introiti permisero a Tanzi di investire molto nella pubblicità e sbancare mezza Europa con il marchio Parmalat. Potendo disporre di una rete distributiva estremamente capillare allargò il business con i succhi di frutta, le conserve alimentari e altri prodotti da cucina.

Questo consentì al magnate emiliano di entrare nel salotto buono della politica e di tessere rapporti saldi con esponenti di spicco della Democrazia Cristiana, come il segretario Ciriaco De Mita. La cosa rappresentò il crocevia con il mondo bancario, grazie all'accesso a finanziamenti sempre più cospicui.

 

Parmalat: come maturò il crac 

La concorrenza di altri competitor verso la fine degli anni 80 fece emergere le prime crepe. Il margine di guadagno si abbassò sempre di più fino a diventare negativo e la società di Collecchio fu soverchiata dai debiti. L'azienda stava per essere ceduta alla Kraft quando il direttore generale Fausto Tonna suggerì a Tanzi di quotare la società in Borsa per risanare un bilancio, che ora registrava debiti per oltre 100 miliardi di vecchie lire.

In verità l'operazione non fu semplice, perché bisognava fare i conti con l'Autorità di Vigilanza che poteva porre il veto per un'azienda così indebitata.

L'idea del duo Tanzi-Tonna fu a quel punto di rivolgersi a Gianmario Roveraro, banchiere e fondatore di Banca Akros, un istituto di credito che curava proprio il collocamento delle aziende sui mercati finanziari. Il numero uno della banca meneghina consigliò dapprima di acquisire Centronord, una società già presente nel listino milanese, in modo da avere un ingresso in Borsa per via indiretta. Successivamente di liberarsi di un ramo secco come Odeon TV, che era un'emittente televisiva costantemente in rosso.

Fatto questo, Parmalat riuscì ad ottenere un prestito di 120 miliardi da Centrofinanziaria, una banca d'affari controllata dal Montepaschi di Siena. Con questo finanziamento il gioiellino di Collecchio acquisì Fnc e le girò le quote di Parmalat dando vita a Parmalat Finanziaria. Il ricavato permise di effettuare l'aumento di capitale e nel frattempo di rimborsare il prestito ponte ricevuto per mettere in piedi l'operazione.

Questa operazione poco trasparente riuscì a sfuggire all'occhio della Consob che diede il via libera per lo sbarco a Piazza Affari avvenuta nel 1990. Una volta quotata in Borsa, Parmalat Finanziaria si proiettò alla conquista del mondo, allargando la sua presenza in tutti e cinque i Continenti.

Intanto i debiti continuavano a crescere, anche perché bisognava finanziare gli altissimi dividendi che i soci percepivano ogni anno. Con il tempo si arrivò piano piano alla stessa situazione esistente prima della quotazione, ossia con una voragine di debiti enorme da colmare.

Allora ecco che arrivò la svolta. Cominciarono le falsificazioni aziendali della contabilità e si fecero acquisizioni per aumentare l'attivo patrimoniale contrapponendolo al passivo determinato dai debiti. Per coprire invece il costo delle acquisizioni si emisero fatture false.

E i crediti delle fatture come venivano incassate? Semplice (per modo di dire). Con l'ausilio dell'avvocato Gian Paolo Zini, si creò un conto corrente falso presso Bank of America, intestato alla controllata Bonlat, verso cui si fecero confluire gli incassi fittizi delle fatture. Questo conto inesistente di 3,9 miliardi servì come specchietto per le allodole per le banche, che in questo modo erano stimolate a concedere prestiti.

Di fatto Parmalat era ormai una scatola vuota, senza un soldo. Nel frattempo vennero emessi Bond per 8 miliardi di euro che furono tutti collocati grazie alle banche d'affari Merrill Lynch, Deutsche Bank e JP Morgan che confezionarono i titoli bollandoli come sicuri e che percepirono laute commissioni per il servizio fornito.

 

Nel 2003 avvenne la svolta, la Consob iniziò a controllare

Il gioco si interruppe nel 2003, quanto l'Autorità di Vigilanza della Borsa Valori cominciò a mettere il naso sui conti della società di Calisto Tanzi. L'8 dicembre dello stesso anno Parmalat annunciò di non avere sufficiente liquidità per onorare la restituzione di un bond da 150 milioni. Alla successiva apertura di Borsa il titolo perse il 40%. La società venne commissariata e una settimana dopo saltò tutto il consiglio di amministrazione.

Il 19 dicembre Bank of America comunicò in una lettera alla Banca d'Italia che il conto intestato a Bonlat per 3,9 miliardi di euro non esisteva. La carta intestata utilizzata dagli amministratori era fasulla perché il logo era stato creato con uno scanner e una fotocopiatrice. Poco prima di Capodanno il Presidente Tanzi venne arrestato, per lui i reati contestati furono: bancarotta fraudolenta, truffa, associazione a delinquere, aggiotaggio, false comunicazioni ai vertici di controllo.

Quando la guardia di finanza fece irruzione nelle sedi aziendali sorprese gli impiegati intenti a distruggere pc e documenti per eliminare dati compromettenti. Furono 180 le persone indagate, di cui 110 andarono a processo. Il titolo in Borsa venne ritirato dalle contrattazioni e fu riammesso solo nel 2005, dopo il risanamento.

Nel 2011 la multinazionale francese Lactalis iniziò la scalata di Parmalat e, dopo aver acquisito il 29%, lanciò un'OPA totalitaria che le costò 4 miliardi di euro. Nel 2016 il gruppo di Laval avviò la procedura di delisting dal listino milanese, cosa che può avvenire solo se si possiede più del 90% delle quote. Nel dicembre 2018 la quota di controllo arrivò al 95,81% e il 5 marzo del 2019 le azioni Parmalat sparirono definitivamente dalla scena di Palazzo Mezzanotte.

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