Un settore che fino a qualche anno fa era in piena crisi, come quello musicale, ora, grazie allo streaming, è tornato a godere di ottima salute. Il buon momento del settore sta trascinando anche le vendite di quei prodotti, come vinili e cd, che sembravano destinati a finire nell’oblio. Per gli appassionati di musica che non disdegnano gli investimenti sta nascendo una nuova categoria di prodotti, subito paragonata alle celeberrime Meme Stock, in grado di coniugare queste due passioni.
Diritti d’autore delle canzoni come Meme Stock: arriva Jkbx
Dopo il boom delle Meme Stock e degli NFT (Non-Fungible Token), ora è la volta delle porzioni, proprio come le azioni, dei diritti d’autore delle canzoni preferite. Quindi, in un futuro non troppo lontano, potremmo avere un portafoglio pensionistico alimentato dalle hit di Rihanna o dai successi dei Rolling Stones.
Il nuovo mercato per la compravendita dei diritti d'autore musicali si chiama Jkbx (pronunciato "jukebox"), è stato lanciato questo mese ed entro la fine dell’anno dovrebbe avviare le contrattazioni. Jkbx ha richiesto le autorizzazioni necessarie alla statunitense Securities and Exchange Commission (SEC) e nel caso in cui questo nuovo mercato dovesse ottenere il via libera, Jkbx permetterà ai fan di acquistare "quote di royalty", ovvero porzioni frazionate di royalty, compensi e altre entrate associate a una particolare canzone.
Non è la prima volta che assistiamo ad un’operazione del genere: SongVest debuttò nel 2008 ma, il fallimento di Lehman Brothers e tutta la crisi che seguì, non depose a favore di questo progetto. Anche con lo sbarco degli NFT le royalties musicali sono state oggetto di tokenizzazione.
Jkbx: ecco quanto costeranno le quote delle canzoni
Una quota dei diritti d'autore per la composizione di "Halo" di Beyoncé, ad esempio, costa 28,61 dollari. "Ogni volta che si ascolta una canzone, qualcuno viene pagato", ha detto Scott Cohen, Ceo di Jkbx. “Quel qualcuno potresti anche essere tu".
La nascita di Jkbx è collegata ai maxi-accordi siglati negli ultimi tempi dai big della musica: Bruce Springsteen, ad esempio, nel 2021 ha venduto il suo catalogo a Sony Music Group per 550 milioni di dollari. Justin Bieber, Dr. Dre e Katy Perry avrebbero venduto cataloghi per oltre 200 milioni di dollari, rispettivamente a Hipgnosis Songs Capital, Universal Music e Shamrock Holdings e Litmus Music, società sostenuta dal Carlyle Group. Fondi di gestione musicale come Hipgnosis e Round Hill Music hanno fatto incetta di artisti, facendo lievitare il valore dei cataloghi.
La corsa all’acquisto dei cataloghi è dovuta ai ritorni che, nell’epoca di Spotify, dei social e dei video virali, è possibile incassare dalle royalty. Se le istituzioni finanziarie sono così entusiaste dei diritti d'autore, Cohen pensa che i fan lo saranno ancora di più.
All’inizio furono i Bowie Bonds
I Bowie Bonds furono una serie di obbligazioni collateralizzate da royalty musicali emesse da David Bowie nel 1997. L'operazione, che fu ideata da David Pullman, rappresentò una novità nel mondo della finanza, in quanto fu il primo caso in cui un artista musicale utilizzò la sua musica come garanzia per un prestito.
I Bowie Bonds erano obbligazioni a tasso fisso della durata di 10 anni, con un rendimento del 7,9%. Il collaterale era costituito dai diritti d'autore di 25 album di Bowie, compresi alcuni dei suoi più grandi successi, come "Space Oddity", "Heroes" e "Let's Dance". L'operazione fu un successo: il Duca Bianco riuscì a raccogliere 55 milioni di dollari, che utilizzò per pagare i debiti accumulati durante la sua carriera.