ENI: il Tesoro vende il 2,8% del capitale, ecco cosa significa | Investire.biz

ENI: il Tesoro vende il 2,8% del capitale, ecco cosa significa

16 mag 2024 - 11:00

16 mag 2024 - 11:14

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Lo Stato italiano continua con le dismissioni delle partecipazioni pubbliche incassando 1,4 miliardi di euro da ENI. Vediamo i dettagli e il significato dell'operazione

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) ha venduto una partecipazione del 2,8% di ENI attraverso un "accelerated bookbuilding", una procedura con cui vengono ceduti pacchetti azionari a investitori istituzionali sfruttando il fattore velocità. Il Tesoro ha messo sul mercato 91.965.735 azioni ENI a un prezzo di 14,855 euro ciascuna, che rappresenta uno sconto dell'1,7% rispetto all'ultimo prezzo di chiusura del titolo a Piazza Affari di 15,11 euro. La transazione è stata realizzata per mezzo di un consorzio di banche formato da Goldman Sachs, Jefferies e UBS in qualità di joint global coordinators e joint bookrunners, con la consulenza legale di White & Case (Europe). Nel contempo, il MEF si è impegnato a non vendere senza il consenso delle banche ulteriori azioni ENI per un periodo di 90 giorni.
 
Con questa operazione, lo Stato italiano ha raccolto circa 1,4 miliardi di euro, mentre la quota del MEF detenuta nel gigante energetico ora passa dal 4,8% al 2%. Tuttavia, il governo ancora controlla il 30,5% del capitale, essendo proprietario attraverso Cassa Depositi e Prestiti - controllato dal MEF con l'82,77% del capitale - del 28,5% di ENI. 
 
 

ENI: ecco tutte le dismissioni del Tesoro

La mossa del Tesoro era attesa dopo che il Cane a Sei Zampe aveva chiuso anticipatamente il piano di buyback da 2,2 miliardi di euro e si inquadra in un processo di dismissioni quasi trentennale.
 
Tutto cominciò nel 1995, quando ancora lo Stato aveva il monopolio assoluto dell'ente pubblico che la legge 359/1992 trasformò in società per azioni. La prima privatizzazione avvenne per il 15% del capitale di ENI, portando nelle casse erariali l'equivalente di 3,25 miliardi di euro. L'anno successivo fu collocato il 15,82% per un incasso di 4,58 miliardi di euro mentre nel luglio del 1997 arrivò la vendita della terza tranche per il 17,60%, con un introito per lo Stato di 6,83 miliardi di euro. Nel 1998 il governo scese sotto il 50%, incamerando altri 6,71 miliardi di euro, prima dell'ultimo collocamento che avvenne nel 2001 comportando la cessione di un pacchetto del 5% per un'entrata di 2,72 miliardi di euro.
 
Dopo la cessione di ieri, ENI rimane ancora sotto il controllo pubblico, con una partecipazione al di sopra della soglia psicologica del 30%. Ad ogni modo la società guidata da Claudio Descalzi fa parte di quelle aziende considerate strategiche per la politica economica del Paese. Al riguardo la legge n.474 del 30 luglio 1994 ha attribuito al MEF, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, la golden share. Si tratta di una serie di poteri speciali grazie a cui un certo quantitativo di azioni viene assegnato allo Stato e/o almeno un membro del Consiglio di amministrazione è un rappresentante del governo.
 
 
 

Un piano da 20 miliardi di euro

Il Tesoro procede quindi spedito verso il piano di dismissioni che dovrebbe portare in un triennio a 20 miliardi di euro nelle casse dello Stato, secondo quanto riferito nella Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF).
 
A marzo il MEF ha perfezionato la cessione del 12,5% di Banca MPS, incassando 1,6 miliardi di euro, e riducendo la sua quota di partecipazione al 26,73% dopo che aveva venduto il 25% a novembre 2023. Nel mirino ci sono altre società come Poste Italiane, Ferrovie e RAI, ma il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha chiarito che la privatizzazione avverrà sfruttando il timing più opportuno sulla base delle condizioni di mercato. In altri termini, il prezzo al quale lo Stato venderà le azioni dovrà essere idoneo per ottimizzare gli incassi.
 
In particolare si sta studiando da tempo l'uscita parziale dal capitale di Poste. Attualmente il Tesoro detiene complessivamente il 64% del capitale, di cui il 29% per mano del MEF e il 35% indirettamente attraverso CDP. Il governo ha come obiettivo quello comunque di conservare una quota minima del 35% che permetterebbe di incassare oltre 4 miliardi di euro. Tuttavia, fermarsi al 51% potrebbe essere considerato un traguardo soddisfacente. In tal caso, la cessione comporterebbe un'entrata pari a circa 2 miliardi di euro. Si tratta comunque di cifre che possono variare nel tempo sulla base delle condizioni di mercato.
 
La cessione di Ferrovie, su cui lo Stato vanta una partecipazione del 40%, frutterebbe invece, secondo le stime governative, almeno 5 miliardi di euro.
 
 

MEF: rimane aperta la questione MPS

Il MEF deve uscire totalmente dal capitale della banca toscana, sulla base degli accordi con l'Unione Europea. I primi passi li ha compiuti, rimane l'ultimo miglio che Giorgetti auspica possa essere percorso entro la fine del 2024. Nel frattempo si attende l'arrivo di un partner per l'istituto di credito di Rocca Salimbeni.
 
 
 

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