C’erano una volta i BRIC. Quante volte abbiamo letto o ascoltato sigle più o meno fantasiose su temi di investimento rampanti. Negli ultimi mesi le “Magnifiche 7” hanno tenuto banco per etichettare le società tech americane che si prendono una buona parte del listino USA S&P500.
I BRIC hanno rappresentato l’acronimo più gettonato ad inizio secolo inventato da Jim O'Neill di Goldman Sachs per celebrare nel 2001 i quattro Paesi che avrebbero dominato l’economia globale nei 50 anni successivi. Brasile, Russia, India e Cina effettivamente sono cresciuti moltissimo a livello economico e i prodotti finanziari dedicati a questi paesi si sono moltiplicati nella prima decade del ventunesimo secolo.
Anche il mondo degli ETF non si lasciò sfuggire l’occasione con iShares che lanciò nel 2007 un ETF che investiva nelle principali azioni di questi quattro paesi emergenti. Ma dal 2023, con l’eliminazione della Russia dai principali indici azionari e obbligazionari, BlackRock è stata costretta a modifica la sigla e la politica di investimento dell’ETF da BRIC a BIC 50.
Anche gli ETF quindi cambiano pelle come i camaleonti, con indici sottostanti e politiche di gestione che non sono scolpite nella pietra.
Ishares BIC 50: occorre leggere bene l'etichetta
Se i ribilanciamenti all’interno degli indici appaiono un qualche cosa di fisiologico e normale nel processo di gestione degli stessi da parte dei provider, l’eliminazione di una fetta rilevante di un intero mercato azionario è evento raro che spiazza quegli investitori che avevano comprato un tema e adesso si ritrovano in portafoglio un prodotto diverso. Ma poteva andare peggio possedendo l’ETF che investiva nella sola Russia.
Pur sopportando un delisting e una Cina il cui mercato non brilla certo per performance, l'ETF ISHARES BIC 50 si ritrova dal lancio con una performance positiva del 35%. Sembrerebbe un risultato accettabile, ma poteva andare molto meglio se il gestore avesse compiute scelte diverse. Difficile spiegare perché questo ETF al momento ha infatti una composizione geografica del 83% in Cina, poi Brasile al 14% e poco più che briciole alla super performante India.
Essendo venduto come ETF che investe nelle 50 società più capitalizzate di questi tre Paesi ci si sarebbe attesi un cap anche all’area geografica, mentre dal KID apprendiamo che la percentuale massima viene applicata al 15% solo per ogni singolo componente.
Obiettivamente una gestione maldestra di un ETF caro (0,84% l’anno), con masse amministrate che non hanno superato i 100 milioni di euro pur avendo una storia superiore ai 15 anni, sulla cui diversificazione andrebbero fatte da parte di iShares delle riflessioni importanti. Perché in questo momento l’etichetta non corrisponde a quello che c’è realmente dentro al contenitore.
Anche gli ETF hanno i loro scheletri nell’armadio insomma.