Lo shock sul reddito fisso europeo, tedesco in particolare, sta avendo effetti a catena in tutto il resto del mondo finanziario.
Non solo quello obbligazionario europeo, dove si sta assistendo a perdite corpose per quegli ETF a duration costante che ovviamente hanno subito passivamente il movimento di innalzamento della parte più a lungo della curva dei rendimenti, ma anche in quello globale americano, corporate ed emergente. E il motivo in questo caso, più che di tasso di interesse, è di natura valutaria e si chiama dollaro americano.
Il biglietto verde ha perso in una manciata di sedute il 5% rispetto all’euro, con il timing dei dazi commerciali annunciato da Trump che sembra essere la spiegazione più logica della fuoriuscita degli investitori dalla valuta americana. Una tesi complottista potrebbe anche vedere i riposizionamenti delle riserve valutarie estere utilizzate come “arma” di dissuasione verso le politiche commerciali di Trump come una delle cause, in realtà il mercato vede rischio e meno vantaggio di rendimento sulla carta americana e chiede un premio maggiore sul dollaro.
Tra le vittime eccellenti di questa fase di storno dei mercati obbligazionari ci sono gli ETF che investono nelle obbligazioni emergenti in valuta forte, appunto il biglietto verde.
Come Amundi Global Emerging Bond che riportiamo nel grafico allegato in versione total return per poter apprezzare la continuità di crescita di prezzo e cedole.
ETF Obbligazioni Emergenti: pesa l'esposizione al biglietto verde
Essendo l’ETF esposto integralmente al dollaro americano, il ribasso del biglietto verde si è riflesso in una caduta verticale in un prezzo reduce dal massimo storico. Prezzo che ha già abbattuto la media mobile che, fatta eccezione di novembre 2024 quando venne brevemente perforata, è sempre stata abile nel contenere le spinte ribassiste.

Dovesse esserci un cedimento strutturale (come sembra) prenderebbe corpo uno scenario di doppio massimo con riflessi in ottica 2025 che diventerebbero preoccupanti visto che a quel punto gli obiettivi probabilmente sarebbero proprio i minimi di novembre 2024.
La duration del portafoglio di bond che compone l’ETF è elevata (superiore a 8) con un rating medio "BB" e un rendimento a scadenza del 6,5%. Numeri che, qualora la curva dei tassi americana dovesse tornare a spingersi in alto, oppure se i venti di recessione dovessero farsi più consistenti, creerebbe danni notevoli a obbligazioni emesse da stati con merito di credito "non investment grade".
L’esposizione geografica dell’ETF vede l’Arabia Saudita come primo paese al 12%, seguita da Turchia e Indonesia al 10% e Messico e UAE al 7%. Assenti curiosamente sia Cina che India nel portafoglio offerta da Amundi.
Le considerazioni di cui sopra valgono naturalmente per tutti gli ETF che investono in bond emergenti a cambjo dollaro aperto, ma certamente il reddito fisso più esposto a dazi e rallentamenti dell’economia globale è proprio quello dei paesi non sviluppati considerando la necessità di reperire costantemente risorse sul mercato per finanziare la spesa non solo in valuta locale.
In teoria la debolezza del dollaro dovrebbe essere un fattore positivo per le economie emergenti, ma se dovesse essere alimentata da sfiducia, allora inevitabilmente la risposta potrebbe non essere la stessa che ci insegna la teoria economica degli ultimi decenni.