La debolezza del dollaro americano, che sta tentando l’assalto alle prime resistenze che contano su EUR/USD, ha favorito l’oro e l’argento. Ma anche le azioni aurifere sembrano vantare un profilo grafico interessante.
Per quello che riguarda il metallo giallo la forte salita dei rendimenti reali americani (il mercato sconta una tasso terminale di politica monetaria Fed al 5%), unito ad un ridimensionamento delle attese di inflazione per la prossima decade, aveva zavorrato l’oro. Privo di cedola, il gold è capitolato fino a 1.600$ l’oncia dopo aver toccato a inizio anno prezzi superiori ai 2mila dollari. Poi l'apertura di Powell ad un ammorbidimento della politica monetaria ha creato le premesse per un corposo rimbalzo dell'oro fino a 1.800.
Tecnicamente, sotto 1.680 dollari sarebbe stato formalizzato quello che gli analisti tecnici chiamano un doppio massimo. Scenario che non si è realizzato con la debolezza del dollaro che ha fatto il resto. Anche il cugino povero dell’oro, l’argento, si è mosso sulla stessa linea. Il silver dopo essere sceso dai 26 dollari l’oncia di inizio anno a 18, ha reagito riportandosi ben sopra quota 23 $ l'oncia.
Oro: la stagionalità gioca a favore
Il contesto è molto interessante perché siamo entrati in un periodo stagionalmente favorevole all’oro e perché, in vista della fine dei rialzi Fed nel 2023, proprio l’oro potrebbe tornare protagonista qualora i venti di recessione in America dovessero farsi più forti. La reazione dei preziosi ha riportato al centro dell'attenzione queste divise "alternative", ma anche i suoi surrogati.
In realtà per l’investitore europeo tutto questo non è mai stanto un dramma e il motivo era legato alla forza del biglietto verde. Un ETF aperto al rischio cambio come Invesco Physical Gold quest’anno ha realizzato una erformance positiva di oltre il 6%. Un numero che diventa +60% a distanza di 5 anni, simile a quello raggiunto dal mercato azionario globale.
Chi invece ha battuto in testa sono le azioni aurifere i cui conti sono stati zavorrati dai costi energetici degli ultimi mesi. L’ETF VanEck Gold Miners è invariato negli ultimi 12 mesi, comunque meglio del mercato azionario globale.
Il grafico dell’ETF ci permette infatti di apprezzare il preciso test dei supporti che uniscono i minimi crescenti dal 2016, con la sola deroga del minimo Covid. E il poderoso rimbalzo di novembre.
L’ETF che investe nelle società impegnate nell’estrazione di oro e argento e che ottengono almeno il 50% dei loro ricavi da questa attività, vanta un forte peso sulle società canadesi che rappresentano oltre il 40% del paniere. Seguono Stati Uniti e Australia con 18% e 12%.
Le prime 10 società in portafoglio occupano i due terzi del fondo e questo rende lo strumento molto concentrato e soprattutto volatile essendo legato all’andamento di oro e ai conti di poche società quotate. Newmont, Barrick Gold e Franco Nevada sono le imprese più conosciute con valutazioni che appaiono tutt’altro che care ma nemmeno super convenienti. Il rapporto prezzo utili di 16 rappresenta sicuramente un interessante punto di ingresso anche se non si può considerare come un prezzo da saldo.
Tutto dipenderà dall’oro. Se area 1800 dovesse cedere nelle prossime settimane con una FED più possibilista sul fronte dei tassi grazie ad un’inflazione che piega la testa, e infine con un dollaro disposto a deporre le armi, allora anche per le aurifere questa fase di accumulazione potrebbe trasformarsi in qualcosa di più interessante in ottica 2023.