Il 2022 è stato un anno positivo per il dollaro Usa, in rialzo rispetto a praticamente tutte le principali valute mondiali. Vediamo quindi nel dettaglio cosa ha guidato la cavalcata del biglietto verde, quali effetti ha prodotto e quali potrebbero essere le prospettive per il 2023.
Dollaro Usa: quanto è stato forte nel 2022
Nei primi dieci mesi dell'anno la valuta americana è salita di oltre il 10%, secondo l'indice tenuto dalla Federal Reserve che comprende un paniere di divise. Per trovare una forza relativa così estesa bisogna risalire ai primi anni '80, quando gli Stati Uniti vissero una situazione simile a quella attuale, ovvero di alta inflazione e di una serie di aumenti record dei tassi d'interesse da parte della Banca Centrale.
Durante l'anno, il dollaro ha raggiunto il massimo storico nei confronti della sterlina, con il GBP/USD finito a 1,03, il massimo dal 1990 nei confronti dello yen giapponese, con l'USD/JPY che ha toccato 152, ed ha superato l'euro, con il cambio EUR/USD precipitato sotto la parità per la prima volta dal 2002. A novembre la corsa del greeback è stata frenata dai dati sull'inflazione Usa, che hanno alimentato l'attesa che la Fed allenti le strette sui tassi.
Dollaro Usa: cosa spiega la sua forza nel 2022
Le ragioni per cui i trader hanno comprato dollari nel 2022 sono state diverse. La principale ha riguardato l'aumento dei tassi d'interesse, alzati dalla Fed per combattere l'inflazione più alta degli ultimi 40 anni. A partire da marzo, la Banca Centrale Usa ha sistematicamente alzato il costo del denaro ad ogni riunione: prima con una stretta di 25 punti base, poi con una di 50 e successivamente per quattro volte consecutive con una di 75. Anche le altre Banche centrali hanno elevato i tassi, ma la Fed si è mossa con più rapidità e convinzione. Questo ha reso il dollaro Usa più attraente perché più redditizio rispetto alle altre valute.
Un altro fattore favorevole alla moneta a stelle e strisce è stato rappresentato dalla grande incertezza che si è determinata a livello macroeconomico, dove si è fatta sempre più strada l'eventualità dell'arrivo di una recessione globale per effetto della crisi energetica, degli approvvigionamenti e ovviamente delle politiche monetarie restrittive delle Banche centrali. A queste si è aggiunta l'incertezza a livello geopolitico causata dalla guerra Russia-Ucraina e dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina. In tale contesto, il biglietto verde ha capitalizzato il suo ruolo di bene rifugio.
Dollaro Usa: quali problemi dalla sua forza
Se in condizioni normali una valuta più debole può essere un fattore positivo in quanto rende più competitivi i propri prodotti, in un contesto come quello attuale di alta inflazione e crisi delle materie prime il dollaro forte ha rappresentato un elemento negativo per diversi Paesi. Questo perchè le quotazioni delle materie prime sono espresse in dollari e di conseguenza, le aziende si trovano a sostenere maggiori costi (ossia ad importare inflazione) che poi vengono scaricati sui consumatori finali.
Il dollaro forte ha anche messo in difficoltà quei Paesi emergenti che prendono in prestito in dollari, poiché aumenta il loro onere del debito in termini di valuta locale, così come quei sistemi economici che che hanno stabilito l'ancoraggio della propria valuta (vedi Hong Kong) al dollaro USA, perché devono ricorrere sempre più all'utilizzo delle proprie riserve per mantenere il peg.
Dulcis in fundo, l'impennata della divisa statunitense è stata una spina nel fianco per le aziende americane che producono buona parte dei loro profitti all'estero, perché questi finiscono per ridursi quando convertiti in dollari. I dati dell'ultima trimestrale hanno riportato infatti che l'incidenza dell'effetto cambio sugli introiti per colossi come Google, Microsoft, Apple e Amazon è oscillata dal 3% al 5%.
Cosa si è fatto e cosa si potrà fare per contenere la forza del dollaro Usa
Alcuni Paesi hanno provato ad arginare la forza del dollaro americano, anche se con scarsi risultati. Il Giappone ad esempio è intervenuto direttamente nel mercato valutario nei mesi di settembre e ottobre per la prima volta dal 1998, cercando di indebolire il cambio USD/JPY che aveva raggiunto i livelli più alti dal 1990. La Cina ha difeso il peg con il dollaro di Hong Kong, lasciando oscillare il cross in un intervallo ristretto che dura da quattro decenni.
Molti altri Paesi sono stati costretti ad aumentare i tassi più del dovuto per non far deprezzare eccessivamente il cambio rispetto al biglietto verde.
Secondo molti, in questi casi la soluzione migliore è quella di una mossa congiunta tra le varie potenze mondiali per cercare di indebolire la valuta americana, esattamente come avvenne a metà degli anni '80 con l' accordo del Plaza che coinvolse Regno Unito, Francia, Germania Ovest, Giappone e Stati Uniti.
Dollaro USA: cosa potrebbe succedere nel 2023
Quello che accadrà il prossimo anno per molti è ancora un'incognita, perché i nodi da sciogliere sono tanti. Innanzitutto occorre vedere se l'inflazione negli Stati Uniti si confermerà in discesa, mettendo nelle condizioni la Fed di poter realmente allentare la morsa sui tassi d'interesse, oppure se si manterrà a un livello troppo distante dal target del 2% della Banca Centrale, impedendole di fatto di portare avanti una politica più accomodante.
In secondo luogo, ci sarà da verificare se la crisi energetica che sta imperversando in Europa si ridurrà, magari con l'avvio di una risoluzione del conflitto in Ucraina. In questo modo, le pressioni sull'euro si affievolirebbero e gli investitori inizierebbero a scaricare dollari.
Infine, molto dipenderà dal fatto che sopraggiunga o meno la tanto temuta recessione globale (e bisognerà vedere quanto sarà profonda). Nello scenario più cupo, gli investitori potrebbero tornare a comprare dollari per proteggersi dal rischio esattamente come hanno fatto quest’anno.