La guerra tra Israele e Hamas ha creato qualche scossa nel mondo valutario e rischia di alterare l'equilibrio che si era formato negli ultimi mesi.
Il dollaro USA rimane ben comprato, perché gli investitori trovano nella valuta americana un porto sicuro presso cui rifugiarsi durante i momenti di tensione a livello economico, finanziario e geopolitico. Tra l'altro, il biglietto verde trae forza dal fatto che gli investitori ormai hanno percepito che i tassi d'interesse rimarranno elevati per un periodo di tempo che molto probabilmente sarà più lungo di quello preventivato e sperato. Qualche
timido segnale di rallentamento, tuttavia, il dollaro USA lo ha avuto negli ultimi giorni perché alcuni funzionari importanti della
Federal Reserve hanno rilasciato dichiarazioni in senso più accomodante, quantomeno facendo pensare che il picco dei tassi sia stato già raggiunto e che la Banca centrale osserverà attentamente le dinamiche dell'economia.
Le tensioni geopolitiche hanno dato un po' di forza anche allo yen, in quanto anch'esso considerato valuta rifugio. Chiaramente il contesto è diverso in questo caso, poiché vi è una netta divergenza tra la politica monetaria della Fed e quella della
Bank of Japan. Tutto però è in procinto di cambiare se da Tokyo dovessero arrivare segnali di inversione nei prossimi mesi e se contestualmente il governo giapponese intervenisse direttamente sul mercato per rafforzare lo yen come fece nell'autunno dello scorso anno per ben due volte.
Addio al carry trade?
Con tassi d'interesse in USA al 5,5% e in Giappone sotto zero, i trader sono andati a nozze con il carry trade, finanziandosi in yen e acquistando dollari. Soprattutto perché
il cambio USD/JPY è tra i meno volatili sul mercato valutario e per di più il dollaro nell'ultimo anno e mezzo è stato in costante rafforzamento sulla divisa nipponica.
Ma cosa potrebbe succedere se la guerra in Israele dovesse subire una pericolosa escalation? Il rischio è molto concreto, perché le truppe di Benjamin Netanyahu si preparano a varcare via terra il confine di Gaza per un attacco militare con l'obiettivo di spazzare via i militanti di Hamas. Le conseguenze a quel punto potrebbero essere più gravi, con il coinvolgimento dell'Iran a supporto dei guerriglieri palestinesi e l'ampliamento del conflitto.
Lo yen quindi potrebbe continuare a guadagnare terreno, mettendo a rischio la strategia di carry trade portata avanti dagli investitori fino a oggi. "Ovviamente la guerra è inflazionistica, interrompe la crescita e minaccia gli asset rischiosi", ha detto James Malcolm, responsabile della strategia FX di UBS a Londra. "Il più grande eccesso che posso vedere a questo proposito è sul dollaro-yen, dove la BoJ deve fare perno a prescindere e il carry trade che si è accumulato ora ammonta a quasi 500 miliardi di dollari".
La variabile Fed
L'incognita però rimane la Federal Reserve. Alla fine di questa settimana parlerà il governatore
Jerome Powell davanti all'Economic Club di New York e gli investitori cercheranno di captare messaggi che possano guidare le prospettive sui tassi d'interesse. Il discorso di Powell sarà importante non solo in rapporto a quanto sta succedendo in Medio Oriente, ma anche perché i dati sull'inflazione della scorsa settimana non sono stati molto rassicuranti. Secondo il FedWatch del CME, i tassi dovrebbero rimanere invariati nella prossima riunione di novembre, sebbene ci sia una probabilità del 32% che subiscano un rialzo di un quarto di punto a dicembre.
A giudizio di David Chao, strategist del mercato globale di Invesco per l'Asia Pacifico (Giappone escluso), il conflitto in Israele sarà solo a livello regionale, non avrà impatti significativi sui mercati finanziari nel tempo e quindi non si riverbererà sulle decisioni che dovrà prendere la Banca centrale americana. "Non credo che altererà le traiettorie di crescita delle principali economie, né renderà la Fed più aggressiva. Semmai, penso che la Fed sia meno incline a inasprire la politica monetaria in futuro, data la percezione di rischi più elevati", ha affermato.