L’ultimo giro di orologio è iniziato, con i mercati che si apprestano ad affrontare le ultime settimane dell’anno nel limbo: tra euforia per i risultati raggiunti nel corso del 2024, soprattutto per i ripetuti record di Wall Street e il rientro dei rischi inflattivi che avevano guidato l’ultimo biennio, e dubbi su quello che sarà il prossimo futuro.
Novembre sarà ricordato per le ricadute avute sui mercati dalla vittoria alle elezioni americane di Trump: la divergenza nelle performance tra mercati azionari USA ed europei, la salita dei rendimenti dei titoli di Stato statunitensi e i record storici del Bitcoin.
Proprio il tycoon è stato tra le variabili che maggiormente ha impattato sul sentiment della scorsa settimana, caratterizzata tanto dai festeggiamenti per il Giorno del Ringraziamento quanto da quel Black Friday che farà capire molto su come potranno andare le vendite nel periodo natalizio.
Le sue parole sui possibili dazi per le aziende cinesi, messicane e canadesi ha portato a un brusco sell off anche in Europa. E se i dati dell’inflazione UE sotto le stime aprono la strada ai nuovi tagli della BCE, la crisi politica francese potrebbe portare irrigidire ulteriormente gli investitori. Il rally nel 2024 c’è già stato per i mercati azionari, a breve scopriremo se si prolungherà anche per il periodo natalizio.
Dalle payrolls un assist per Powell?
Tra tagli delle tasse, dazi e blocco dell’immigrazione, le politiche annunciate dal presidente in pectore Trump sembrerebbero destinate a spingere i prezzi al rialzo. Alla luce di questo, ma anche della volontà di apparire indipendente dai condizionamenti del tycoon e della vischiosità dell’inflazione statunitense, il n.1 della Fed, Jerome Powell, ha già fatto sapere di non avere fretta di tagliare i tassi della prima economia.
Questo non vuol dire che il processo di riduzione dei tassi è già terminato, ma che ogni mossa andrà ponderata con attenzione. Non a caso, una riduzione da 25 punti base del costo del denaro nel meeting in calendario il prossimo 18 dicembre è prezzata al 66%. La sensazione è però che il chairman sia alla ricerca di un motivo per posticipare la prossima sforbiciata.
A fornire il pretesto potrebbe essere la pubblicazione dei dati sull’andamento del mercato del lavoro a dicembre. Dopo un dato di ottobre pesantemente influenzato da scioperi e da eventi naturali, la conferma della forza dell’occupazione USA rappresenterebbe, viste le ovvie implicazioni con l’andamento dei salari, un elemento che permetterebbe a Powell & Co. di tirare il freno.
Nella Zona Euro attenzione alle importanti indicazioni sullo stato dell’economia tedesca: in arrivo produzione industriale, ordini al manifatturiero e bilancia commerciale. A livello di intera Eurolandia, focus sui prezzi alla produzione e vendite al dettaglio. Quella che inizia oggi sarà anche la settimana del meeting dell’Opec+ che, giovedì, potrebbe decidere di posticipare l’incremento dell’output ai primi mesi del 2025.
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