I tempi d'oro del carry trade su USD/JPY nei mercati valutari potrebbero essere finiti. Il rally dello yen fa riflettere. Nelle ultime sei sedute la valuta nipponica ha guadagnato oltre il 4% sul dollaro americano, passando da quasi 145 a poco oltre 138 per dollaro e segnando la striscia vincente più lunga dal 2018.
Uno dei motivi che hanno rafforzato lo yen riguarda proprio la
presa di profitto nelle operazioni di carry trade che sono state portate avanti per molti mesi. In sostanza, i trader si finanziavano in yen pagando tassi d'interesse quasi nulli e acquistavano dollari ottenendo rendimenti del 4%-5%. L'operatività è stata favorita dal fatto che il dollaro continuava a rafforzarsi perché la
Federal Reserve era nella fase viva del ciclo di rialzi dei tassi d'interesse per combattere l'inflazione, mentre lo Yen si indeboliva in quanto la
Bank of Japan perseverava nella sua politica monetaria ultra-accomodante.
La magia però sta per terminare, perché l'inflazione negli Stati Uniti si è raffreddata e i tassi sui Fed Funds sono giunti al picco preparandosi alla discesa. Nel contempo, la BoJ deve iniziare a stringere, forse già da questo mese, con l'inflazione in Giappone che sta iniziando a ruggire. L'istituto guidato da
Kazuo Ueda potrebbe dapprima allentare i controlli sulla curva dei rendimenti, permettendo i tassi sui titoli di Stato a 10 anni di salire oltre il limite imposto allo 0,5%, e in seguito alzare il costo del denaro, unico tra i principali Paesi a livello mondiale a essere ancora in territorio negativo.
"La Fed ha ormai quasi finito con i rialzi dei tassi mentre le pressioni inflazionistiche diminuiscono. In Giappone l'inflazione sta mostrando segni di vita e potrebbe innescare un ritocco della politica della BoJ", ha dichiarato Wei Liang Chang, stratega di DBS Bank. "I carry trade, come essere lunghi dollaro-yen, sono inclini a essere rovesciati se le tendenze politiche comunemente assunte si invertono inaspettatamente".
Carry trade: allarme volatilità
Non è solo la divergenza di politica monetaria tra USA e Giappone a decretare la fine del carry trade. In gioco vi è anche il fattore volatilità, che è sempre nemico di una strategia di questo tipo. L'economia americana potrebbe entrare in recessione come risultato della pressione esercitata per quasi un anno e mezzo dai reiterati aumenti dei tassi. Ciò significa che le oscillazioni nei mercati valutari potrebbero essere più consistenti e quindi determinare movimenti più rapidi e ampi delle valute sottostanti al modello di carry trade.
"Il rallentamento della crescita economica, come riflesso nel recente calo del PMI statunitense, dovrebbe spingere al rialzo la volatilità dei cambi", hanno scritto gli strategist di Deutsche Bank in una recente nota. Anche se, "il livello molto depresso di volatilità azionaria sta compensando questo deterioramento mantenendo contenuta la volatilità dei cambi", hanno aggiunto. Ancora più netta è la posizione di Brad Bechtel, analista di Jefferies, secondo cui, "in combinazione con un aumento della volatilità nei mercati dei tassi e qualche ammaccatura nella propensione al rischio, il carry trade verrà spazzato via".
Le valute emergenti come rifugio?
Gli investitori sono alla ricerca di valute che nei prossimi mesi possano essere più interessanti in termini di ritorni economici limitando il rischio. Gli operatori sembrerebbero orientati verso i mercati emergenti, con particolare attenzione a divise di Paesi che hanno forti riserve valutarie, una bilancia dei pagamenti in equilibrio e Banche centrali che perseguono una politica prudente.
Esther Law, senior investment manager per il debito dei mercati emergenti presso Amundi SA a Londra, predilige il peso messicano. Carlos De Sousa, gestore del portafoglio del debito dei mercati emergenti presso Vontobel Asset Management a Zurigo, punta su peso colombiano, real brasiliano e rand sudafricano, ritenendoli "ben posizionati date le loro valutazioni favorevoli". Tuttavia, l'esperto sottolinea come "potrebbe comunque essere un percorso accidentato con politiche monetarie divergenti tra mercati emergenti e sviluppati".