La decisione della
Bank of Japan di dire addio al regime dei tassi negativi dopo 8 anni non ha provocato gli effetti sismici che alcuni si aspettavano sullo
yen, che è scivolato ulteriormente rispetto alle principali valute. Il tono ancora accomodante utilizzato dal governatore
Kazuo Ueda in occasione della riunione di questa settimana dalla BoJ ha trasmesso un messaggio eloquente:
è finita l'era dei tassi negativi in Giappone, ma non quella dei tassi bassi.
Ciò implica che lo yen avrà un rendimento inferiore rispetto alle altre valute ancora a lungo, nonostante le Banche centrali diverse da quella giapponese quest'anno taglieranno i tassi di interesse. Ad esempio, il costo del denaro in Giappone è ora dello 0%, mentre negli Stati Uniti è del 5,25-5,5%. Se la Federal Reserve dovesse abbassare i tassi per più di tre volte prima della fine del 2024, il dollaro USA continuerebbe ad avere un vantaggio notevole sullo yen in termini di rendimento. Lo stesso discorso può essere fatto con valute come l'euro e la sterlina.
Yen: il carry trade non accenna a diminuire
Questo quadro generale ha
spinto molti trader a tornare alle operazioni di carry trade, con lo yen come valuta presa in prestito. In sostanza, gli operatori si sono finanziati in yen pagando un tasso esiguo e hanno investito soprattutto in dollari americani ottenendo un rendimento molto più alto. Con il livello dei tassi attuale, un'operazione di carry trade che vede coinvolti yen e dollaro potrebbe fruttare in un anno anche un rendimento del 5%. Chiaramente,
a condizione che il cambio USD/JPY non si indebolisca. La transazione risulterà vantaggiosa se lo yen non si rafforzerà sul dollaro USA per più del rendimento ottenuto dal carry trade. "Una volta tolto di mezzo il rischio sistemico, questo (l'approccio della BoJ, ndr) è quasi interpretato come un'opportunità per rientrare nelle posizioni di carry", ha affermato Shafali Sachdev, responsabile dei servizi di investimento per l'Asia di BNP Paribas Wealth Management.
Tuttavia, ci sono da valutare due rischi potenziali. Il primo deriva dal fatto che, al di fuori del Giappone, i tassi di interesse saranno ridotti quest'anno. Quindi, anche se è molto difficile che verranno portati al di sotto di quelli giapponesi, la mossa potrebbe indebolire le rispettive valute rispetto allo yen rischiando di compensare almeno in parte i benefici del carry trade. Di quanto tali divise possano scendere di valore non è dato di sapere, perché molto dipenderà dalle prospettive delle economie e dal tono adoperato dai banchieri centrali.
Il secondo rischio allude al possibile intervento delle autorità giapponesi di fronte a una debolezza eccessiva dello yen. Tra settembre e ottobre 2022 il governo ha fatto irruzione sui mercati valutari per due volte: la prima allorché il cambio USD/JPY ha superato quota 145 e la seconda quando ha oltrepassato la soglia di 150. Proprio il tetto di 150 viene considerato cruciale per un nuovo intervento e questa settimana è stato violato abbondantemente. Quindi c'è da attendersi una presa di posizione del governo per indebolire lo yen? Probabile. Comunque, se questo dovesse avvenire, il carry trade potrebbe essere messo sotto pressione.
Su questo aspetto si è espresso Eisuke Sakakibara, l'esperto di cambi soprannominato Mr. Yen per la sua capacità di influenzare la valuta del Sol Levante quando ricopriva la carica di vice ministro delle Finanze alla fine degli anni '90. A suo avviso, le autorità potrebbero intervenire se lo yen precipitasse a 155-160 per dollaro, anche se considera questo eventuale movimento "un po' eccessivo". A suo avviso, invece, per la fine di quest'anno e l'inizio del 2025, il cambio USD/JPY scenderà a 130, perché in Giappone "il periodo della deflazione è finito e quello dell'inflazione è imminente".