Le proiezioni inflazionistiche stanno angosciando i mercati finanziari. Il rendimento delle obbligazioni che ne deriva preoccupa gli investitori di azioni che si chiedono se il paventato rialzo dei prezzi abbia un fondamento reale oppure sia una frutto di una percezione distorta del momento. Per ora le istituzioni non sembrano preoccuparsene più di tanto, essendo che sia i Governi che le Banche centrali non hanno intenzione di indietreggiare nei loro programmi di stimolo.
Eppure lanciando uno sguardo su ciò che sta accadendo nell'economia reale a livello globale alcuni segnali preoccupanti non si può fare a meno di rilevarli. Uno di questi riguarda la crescita allarmante del prezzo dei prodotti alimentari. Per fare alcuni esempi, in Russia lo zucchero ha avuto un incremento del 61% rispetto all'anno scorso, in Brasile le fave sono cresciute del 54% e in Indonesia il prezzo del tofu è lievitato del 30%.
Inflazione alimentare: i fattori scatenanti
A determinare questa impennata di prezzo dei prodotti legati al cibo non è l'accresciuta domanda dei consumatori, che alimenterebbe un'inflazione più sana, ma tutta una serie di condizioni che possono essere considerati in buona parte effetto della pandemia. Il blocco di molte attività ha comportato un problema di marginazione e di recupero costi per le aziende.
Queste ultime si sono viste aumentare le spese per il trasporto e l'imballaggio, che giocoforza hanno scaricato sul consumatore. Infatti la crisi ha prodotto un'improvvisa carenza di container e di camionisti che, uniti al rialzo del prezzo del petrolio, hanno inciso notevolmente sul costo del trasporto. Mentre l'aumento dei prezzi di cartone e acciaio ha reso più oneroso l'imballaggio.
La crescita delle quotazioni di materie prime come rame, petrolio e cereali poi sono stati esiziali in questo periodo storico. In aggiunta a questo c'è da considerare che le prospettive per il futuro non sono molto confortanti. Alcuni prodotti come soia, semi di girasole, cereali e zucchero, che sono cresciuti a ritmi impressionanti, beneficeranno di condizioni meteorologiche avverse che limiteranno l'offerta. Se questo si unisce alla grande richiesta per combattere le sacche di povertà sparse per il pianeta generate dalla crisi da Covid-19, il quadro risulta essere completo.
Inflazione alimentare: come i Paesi di tutto il Mondo affrontano il problema
La dinamica dei prezzi dei beni alimentari pone un problema serio perché le imprese potrebbero trovarsi di fronte a un calo della domanda nella percezione del fenomeno. In Gran Bretagna è ben conosciuta una tattica che molti supermercati hanno cercato di usare in passato per aggirare l'ostacolo. Si tratta della deflazione da contrazione, ossia i punti di vendita non aumentano i prezzi del prodotto, ma riducono le dimensioni dello stesso.
Secondo l'Ufficio delle Statistiche Nazionali infatti, quando nel periodo tra il 2012 e il 2017 vi è stata una crescita inflattiva e una Sterlina più debole nel Regno Unito, più di 2.500 prodotti sono stati ridimensionati mantenendo però lo stesso prezzo. Il timore è che la strategia potrebbe ripetersi in questo momento difficile, dove la pressione è anche accentuata dall'impatto della Brexit.
Altri Paesi come Argentina e Russia hanno ridotto o eliminato i dazi su alcuni prodotti importati per evitare che la filiera distributiva possa alimentare i prezzi interni. Francia e Singapore invece si stanno concentrando di più sulla produzione interna per limitare la dipendenza dall'estero.
Ad esempio Parigi investirà maggiormente sulla produzione di colture ad alto contenuto proteico in modo da contenere per quanto possibile l'import di soia. Mentre Singapore è diventato il primo Paese al Mondo ad approvare le vendite di carne creata in laboratorio, ossia dalla coltura di cellule animali senza alcun processo di macellazione.