Dopo un 2022 da incubo, l'anno in corso ha riservato una certa ripresa degli indici borsistici. Ciò è avvenuto grazie soprattutto al rallentamento dell'inflazione, che ha fatto crescere l'aspettativa di un allentamento delle politiche monetarie estremamente restrittive che hanno caratterizzato tutto lo scorso anno.
Un ospite molto sgradito però si è insinuato nella scena economico-finanziaria mondiale, ossia la crisi bancaria, con il fallimento di tre banche negli Stati Uniti e la bancarotta in Svizzera del Credit Suisse, salvata in extremis grazie alla fusione con UBS. Questo ha determinato altra incertezza nei mercati, che ora temono che la recessione arrivi in maniera più accelerata di quanto paventassero in precedenza.
Mercati finanziari: i quesiti che gli investitori devono porsi
Nell'attuale contesto, vi sono alcune domande che gli investitori si fanno, in ottica di prevedere quale potrà essere il corso dei propri investimenti nei prossimi mesi e di effettuare le migliori scelte di portafoglio.
La prima questione riguarda il motivo per cui le Borse si sono riprese con molta rapidità al cospetto di fallimenti bancari che in altri tempi avrebbero creato gravi crisi finanziarie. Possono essere fatte alcune supposizioni.
Quando sono fallite la Silicon Valley Bank e la Signature Bank, le autorità di regolamentazione americane hanno dato un messaggio chiaro garantendo i depositi bancari oltre la soglia dei 250 mila di dollari. Questo potrebbe essere l'incipit per una riforma a livello regolamentare, dove si alza il tetto assicurativo e si mettono al sicuro i risparmi dei depositanti.
Un'altra ipotesi è legata ai
tassi d'interesse da parte della Federal Reserve. La tradizione vuole che quando la Banca centrale comincia a stringere sul costo del denaro, lo fa fino a quando non si rompe qualcosa. Il crack delle banche ha determinato un punto di rottura. Queste motivazioni potrebbero aver dato maggiore fiducia al mercato, che è tornato a comprare le azioni in Borsa.
La seconda domanda concerne proprio la politica sui tassi della Fed, ovvero: perché i mercati scontano diversi tagli dei tassi quest'anno quando l'istituto monetario ha escluso tale eventualità? I vari funzionari dell'autorità centrale continuano a ripetere che il tasso terminale finirà oltre il 5% quest'anno, ma la curva profondamente invertita dei rendimenti manda un messaggio molto chiaro: recessione e quindi taglio dei tassi nei prossimi mesi.
A spiegare lo scetticismo del mercato alle avvertenze della Fed sono i dati macroeconomici. La scorsa settimana le richieste dei sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono salite al livello più alto dal 2021, mentre nel mese di marzo i nuovi occupati sono stati al di sotto delle stime di Wall Street (236 mila unità vs 239 mila previsti). Anche la crescita delle retribuzioni medie orarie, al 4,2% su base annua, è stata inferiore al 4,3% atteso. Questo è ciò che vuole la Fed, ossia un mercato del lavoro più freddo che non alimenti spirali inflazionistiche che la costringerebbero a mantenere i tassi alti a lungo.
La terza domanda concerne il motivo per cui le aspettative sugli utili societari sono così elevate con una recessione in arrivo, quando durante le precedenti contrazioni economiche le attese sono diminuite. Sembra un paradosso, ma un calo dell'occupazione rende più facile tenere sotto controllo il costo del lavoro. Se questo lo si unisce al fatto che un raffreddamento dell'inflazione riduce la pressione sui costi dei fattori produttivi, che tassi d'interesse attesi più bassi riducono gli oneri finanziari e che la concentrazione in molti settori rende più facile la determinazione dei prezzi mantenendoli alti, è ragionevole pensare che i margini delle aziende possano crescere e qundi gli utili netti risultare più alti nei prossimi mesi.
Perché l'oro è nei pressi dei massimi storici?
L'ultima domanda allude alla ragione per cui l'oro, che è una copertura contro l'inflazione, si trova a un passo dal massimo storico, quando il carovita è in calo. Vi sono almeno tre fattori che stanno spingendo gli investitori verso l'oro.
In primis inflazione in calo significa anche attese di tassi più bassi e di rendimenti sul mercato in discesa. Il metallo giallo perde valore quando i rendimenti salgono, perché aumenta il costo opportunità di detenere un asset non redditizio. Ma aumenta di quota quando i rendimenti scendono, per ragioni speculari.
In secondo luogo, la crisi bancaria determina incertezza e instabilità, prefigurando una recessione in arrivo. Quindi, l'oro si riappropria della tradizionale funzione di bene rifugio allorché si manifestano turbolenze di mercato.
In terzo luogo, l'indebolimento del dollaro fa crescere il valore della materia prima, che è quotata in dollari. Infatti, con la moneta americana meno forte, grandi consumatori come India e Cina subiscono meno l'effetto cambio nell'acquisto di grandi quantità di preziosi; giocoforza, aumentano la domanda facendo salire le quotazioni.