Le quotazioni del petrolio Brent sono uscite dal range 73-92 dollari che le aveva contenute nell'ultimo anno. Questa settimana i prezzi sono scivolati fino a sotto 69 dollari - livello più basso da dicembre 2021 - sulle preoccupazioni relative alla domanda cinese. Gli ultimi dati hanno riportato che le importazioni di Pechino sono ancora al di sotto dei livelli dello scorso anno, mentre gli operatori sono preoccupati che l'arrivo di una recessione negli Stati Uniti si propaghi a livello mondiale.
A poco finora è servito l'annuncio da parte di otto Paesi dell'
OPEC+ di
rinviare di due mesi la riduzione del taglio della produzione di 180 mila barili giornalieri che avrebbe dovuto partire da ottobre. "Tutti si stanno spostando verso il lato ribassista", ha affermato Bjarne Schieldrop, capo analista per le materie prime di SEB Research. "La Cina va male, gli Stati Uniti sono in peggioramento e all'improvviso ci si ritrova tutti consumati da discorsi e sentiment ribassisti".
Il fatto che la decisione dell'OPEC di ritardare l'aumento della produzione non sia riuscita a sostenere i prezzi fa riflettere. Negli ultimi anni, proprio i tagli dell'offerta, insieme alla guerra in Medio Oriente, erano serviti a creare quantomeno una sorta di pavimento alle quotazioni dell'oro nero. Ora però "il mercato non è impressionato", ha dichiarato Nitesh Shah, responsabile delle materie prime presso WisdomTree. "La dura verità è che la domanda è troppo debole e quindi rinviare non è sufficiente. Avevano bisogno di un segnale forte che indicasse il mantenimento della restrizione della produzione molto più a lungo di questo ritardo di soli due mesi".
Tra l'altro, tirare troppo la corda potrebbe tradursi in perdere quote di mercato a vantaggio di altri produttori come Stati Uniti, Brasile e Canada. Ad ogni modo, secondo Jorge Leon, strategist petrolifero di Rystad Energy, alcuni produttori che scalpitano per aumentare l'output come gli Emirati Arabi Uniti, "stanno iniziando ad accettare di farlo nel 2026 e non più nel 2025".
Petrolio: le previsioni per i prossimi mesi
Nei prossimi mesi sarà interessante vedere dove si dirigeranno i prezzi del petrolio, alla luce del contesto macroeconomico che si andrà a determinare e delle decisioni dell'OPEC+. Schieldrop si aspetta una maggiore volatilità e un'incertezza più elevata, con il cartello che probabilmente accetterà un prezzo di mercato più basso.
La cautela serpeggia tra gli analisti, con alcuni come Citigroup che hanno consigliato agli investitori di vendere il greggio perché i prezzi scivoleranno fino a 60 dollari al barile nel 2025 a causa di "un considerevole surplus dell'offerta". Della stessa convinzione è Ben Luckock, responsabile del petrolio presso la società di trading Trafigura, secondo cui 60 dollari è un target che potrebbe realizzarsi presto.
Gli analisti di Morgan Stanley prevedono un aumento delle scorte di petrolio, come accade spesso in una recessione, quantunque non prendano in considerazione uno scenario di questo tipo per l'economia. In ogni caso, la banca americana ha rivisto al ribasso le quotazioni del Brent per il quarto trimestre 2024, portandole da 80 a 75 dollari. Livello che l'istituto di credito ritiene si manterrà per tutto l'anno prossimo.
Gli investitori che puntano su un rialzo dei prezzi possono trovare conforto però nelle stime dell'
Energy Information Administration,
che questa settimana ha previsto un ritorno del prezzo del greggio a 80 dollari al barile e una media di 82 dollari nell'ultimo quarto dell'anno. "I tagli alla produzione dell'OPEC porteranno a un deficit dell'offerta, nonostante le attuali preoccupazioni per la domanda stagnante", ha affermato l'agenzia americana.