A Wall Street regna la confusione: gli investitori sono incerti sulla direzione da prendere perché diverse situazioni a livello economico e geopolitico devono essere definite.
Il ciclone Trump continua a impattare pesantemente nei mercati azionari. La scorsa settimana, l'inquilino della Casa Bianca ha annunciato dazi reciproci a partire dal 2 aprile, oltre a confermare che le tariffe generalizzate del 25% su acciaio e alluminio non si toccano. Nel frattempo, la tensione in Medio Oriente è tornata ai livelli più bui da quando è cominciato il conflitto tra Israele e Hamas. Teheran ha bombardato nuovamente la Striscia di Gaza sulla riluttanza dei terroristi di rilasciare gli ostaggi, provocando oltre 400 vittime e mettendo di fatto fine alla tregua concordata a gennaio.
In questo contesto, è naturale che tra gli investitori ci sia nervosismo, soprattutto se a tutto questo aggiungiamo il fatto che l'economia americana potrebbe finire in recessione. Ogni volta che si è paventata questa eventualità, la Borsa americana è stata colpita da un violento nubifragio. Gli ultimi dati macroeconomici non sono molto incoraggianti. Negli Stati Uniti l'attività manifatturiera, la spesa dei consumatori, le vendite al dettaglio e l'occupazione sono rallentate. Tutti ingredienti che fanno pensare a una contrazione economica nei prossimi mesi.
Wall Street: alcuni segnali in chiaroscuro
Ci sono tre segnali che è possibile cogliere a Wall Street in quanto rappresentano degli indizi sul'umore degli investitori in questo momento.
Il primo si riferisce agli acquisti da parte degli insider aziendali. Secondo un indicatore del sentiment degli addetti ai lavori del Washington Service, a marzo finora il rapporto tra acquirenti e venditori è salito a 0,46, rispetto allo 0,31 di gennaio. Questo vuol dire che i dirigenti sono tornati a comprare le azioni delle società per cui lavorano.
Si tratta di un segnale particolarmente importante perché sinonimo di fiducia verso le aziende proprio dalle persone che le gestiscono e conoscono meglio la situazione interna. Approfittando dei prezzi più bassi rispetto a qualche mese fa, gli insider ritengono che sia il momento opportuno per accumulare titoli e non temono gli scossoni dell'ultimo periodo. Al riguardo, c'è un precedente incoraggiante. L'ultima volta che il rapporto acquisto/vendite dei dirigenti è stato così alto fa riferimento alla metà dello scorso anno. Da quel momento, l'indice
S&P 500 ha macinato un record dietro l'altro.
Un altro segnale che porta a delle riflessioni riguarda i riacquisti di azioni proprie da parte delle società. I dati riportati da Birinyl Associates mostrano che i buyback annunciati dalle società USA sono ammontati a 298 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, solo altre due volte si è fatto meglio. Tuttavia, se si limita l'osservazione al mese di marzo, i riacquisti sono arrivati appena a 21,8 miliardi di dollari, segnando il ritmo più lento degli ultimi sette anni.
"I numeri che stiamo vedendo a marzo riflettono l'incertezza in arrivo dalla Casa Bianca", ha detto Jeffrey Yale Rubin, presidente di Birinyi Associates. "Le aziende, non sapendo cosa accadrà, potrebbero non voler correre il rischio di annunciare qualcosa fino a quando non avranno un po' di chiarezza".
Un segnale invece del tutto negativo riguarda le operazioni dei gestori di fondi. Secondo il rapporto del prime brokerage desk di Goldman Sachs, gli asset manager hanno venduto azioni americane in 10 delle ultime 11 settimane. Inoltre, da un'indagine effettuata da Bank of America, emerge che le allocazioni sulle azioni statunitensi dei gestori di fondi sono crollate da un sovrappeso del 17% di febbraio a un sottopeso del 23% di marzo.
"I timori di stagflazione, la guerra commerciale globale e la fine dell'eccezionalismo degli Stati Uniti sono stati i fattori trainanti di un crollo rialzista del sentiment", hanno sottolineato gli analisti di BofA.