Con le elezioni americane alle porte si è tornato a parlare dell'
ESF - l'Exchange Stabilization Fund del Tesoro USA - nell'ambito delle operazioni sul dollaro. Secondo alcuni, se dalle urne dovesse uscire vittorioso
Donald Trump assisteremo ad una politica di indebolimento della valuta statunitense e questo potrebbe metterlo in contrasto con le decisioni della
Federal Reserve. L'ESF può essere lo strumento attraverso cui intervenire nel mercato dei cambi. Vediamo quindi cos'è, il suo funzionamento e il suo utilizzo da quando è stato creato.
ESF: cos'è e come funziona
L'ESF è un fondo di emergenza creato presso il Dipartimento del Tesoro che viene adoperato per stabilizzare il sistema finanziario nell'ambito soprattutto dei mercati dei cambi, ma anche del credito e dei titoli. Se ad esempio il dollaro USA si rafforza eccessivamente al punto da penalizzare il commercio degli Stati Uniti e la politica monetaria della Fed è insufficiente a rallentarne la sua corsa, il Tesoro può fare ricorso all'ESF nel tentativo di influenzare i cambi e promuovere la stabilità nelle valute internazionali. In particolare, l'intervento avviene per sedare l'eccessiva volatilità che si crea in un dato momento, senza dover cercare l'approvazione del Congresso degli Stati Uniti.
L'ESF è costituito fondamentalmente da tre strumenti: il dollaro USA, le valute estere e i diritti speciali di prelievo. Questi ultimi sono una riserva monetaria creata dal Fondo monetario Internazionale nel 1969 a cui possono attingere i vari Paesi. Quindi, in tal caso l'FMI e il Tesoro USA si coordinano per raggiungere lo scopo di stabilizzazione dei tassi di cambio. Questa valuta di riserva può essere scambiata con dollari, oro e altre riserve internazionali detenute dalla Fed.
Un po' di storia
L'ESF è stato creato negli anni '30 del secolo scorso con lo scopo di stabilizzare il valore internazionale del dollaro dopo il crollo del sistema Gold Standard. Nel 1936 fu fatto un accordo secondo cui il Tesoro USA convertiva in oro le riserve in dollari in Francia e Regno Unito. L'utilizzo del fondo era a completa discrezione del Segretario del Tesoro e questo fece sì che potesse essere adattato a tutte le situazioni di cambiamento monetario internazionale. In sostanza, a ogni circostanza in cui vi era turbolenza nel mercato dei cambi dettata da un eccessivo rafforzamento o indebolimento del dollaro USA che potessero pregiudicare la stabilità economica e finanziaria, il governo americano aveva ampia facoltà di intervento. Tra l'altro, nell'interesse nazionale, il fondo concedeva prestiti ai Paesi stranieri.
Negli anni '60 la politica del Tesoro fu orientata a evitare i deflussi di capitali dagli Stati Uniti, dando nel contempo incentivo alle Banche centrali straniere a detenere riserve in dollari piuttosto che in oro. Dopo circa 25 anni in cui sul mercato dei cambi non ci fu alcuna operazione di intervento, l'ESF entrò in azione nel marzo del 1961, ma risultò chiaro che le risorse contenute nel fondo fossero insufficienti per ottenere l'effetto sperato. Per questo, il Tesoro invitò la Fed ad aggregarsi alle operazioni. La risposta fu una serie di accordi di swap con gli altri istituti monetari finalizzati a ricevere valute estere in breve tempo per assorbire le vendite a termine di dollari. Al fine di rimborsare i prelievi di swap della Fed attraverso la valuta estera, il Tesoro emise titoli a medio termine in valuta straniera non negoziabili e cedette i proventi alla Fed.
Nel 1971, in concomitanza con la fine degli accordi di Bretton Woods, gli Stati Uniti terminarono le transazioni in oro con le Banche centrali straniere e nel dicembre 1974 l'ESF registrò un saldo aureo di 2,02 milioni di once. Questa riserva era stata accumulata durante il decennio passato in modo da stabilizzare il dollaro rispetto all'oro. La debolezza del biglietto verde verso la fine degli anni '70 indusse il Tesoro a lanciare un programma di sostegno alla moneta, emettendo le obbligazioni Carter, ossia titoli in valuta estera nei mercati svizzeri e tedeschi per acquisire le divise straniere da vendere attraverso l'ESF.
L'ESF entrò di nuovo in azione a metà degli anni '80 con l'accordo del Plaza, in cui i ministeri delle Finanze e le Banche centrali del G5 (USA, Giappone, Germania, Regno Unito e Francia) si coordinarono per intervenire nel mercato dei cambi con lo scopo di arrestare il persistente apprezzamento del dollaro.
Con la crisi economica del Messico nel 1994, l'ESF fornì 20 miliardi di dollari in swap di valuta e garanzie di prestito al Paese. L'accettazione dell'uso dell'ESF fu a seguito dell'approvazione da parte del congresso del Mexican Debt Discosure Act del 1995. Quell'azione del governo USA fu importante perché alla fine della crisi messicana, le casse statunitense furono arricchite di mezzo miliardo di dollari sui prestiti.
La grande crisi del 2008 scatenò una corsa ai fondi del mercato monetario, che indusse il Tesoro ad attuare, attraverso l'ESF, un ampio programma di garanzia. Questo generò 1,2 miliardi di commissioni ma alla fine le garanzie non furono pagate. Tuttavia, il Congresso proibì il futuro utilizzo del fondo per offrire questo tipo di garanzie. Tali restrizioni furono però rimosse con la crisi pandemica del 2020, con l'ESF che stanziò 500 miliardi di dollari. Una parte di questo importo, stimato in 46 miliardi di dollari, fu per prestiti e garanzie alle compagnie aeree che rimasero a terra con il crollo dei voli e alle società considerate critiche per la sicurezza nazionale. La cifra residuale fu impiegata a garanzia delle linee di credito di emergenza della Fed concesse per coprire le perdite sui prestiti effettuati dalle banche.
Alla fine del 2023 la posizione netta del fondo di stabilizzazione ammontava a 39 miliardi di dollari, con attività totali di 213 miliardi di dollari. La differenza consisteva nei diritti speciali di prelievo dall'FMI per 155 miliardi di dollari e nell'amministrazione dei prestiti per la ripresa dalla pandemia.