JP Morgan prosegue nella quotazione di ETF a strategie attive per arricchire una gamma che da ottobre del 2023 ha visto protagonista il comparto obbligazionario con il lancio di JPM Active Global Aggregate Bond.
Tra poco parlerò del comportamento di questo ETF dopo quattro mesi di storia, ma intanto mi sembra doveroso elencare i sei ETF collocati nelle scorse settimane da JPM. Tutti azionari, tutti a strategie attive, la metà a cambio coperto. I tre stili di investimento coperti sono il value, il growth e il blend con un all equity americano tradizionale.
Trasformando fondi attivi in ETF la casa di investimento statunitense cercherà di scavare una nicchia di mercato che già presidia da tempo con alterni successi. Praticamente assente nel mondo dei passivi veri e propri, questi ETF a strategia attiva tenteranno di catturare alpha ma a costi che non supereranno i 50 punti base annui.
JPM Active Us Equity è un classico azionario totale americano con circa 80-90 azioni in portafoglio, quindi estremamente concentrato. Stesso discorso vale per JPM Active Us Growth che avendo come benchmark il Russell 1000 Growth Index, con un portafoglio di 100-140 azioni tenterà di selezionare azioni sottovalutate e con buon momentum. Infine JPM Active Us Value sarà il più diversificato dei tre con 130-200 azioni che faranno del value e della qualità i fattori di riferimento nella selezione.
Questa offerta mirerà ovviamente a catturare l’attenzione di quegli investitori che vorranno inserire mattoncini attivi all’interno di una strategia rigorosamente passiva. L’obiettivo del gestore sarà naturalmente quello di ripagare la fiducia creando alfa in un mercato come quello americano dove appare sempre più complesso riuscire ad emergere.
JP Morgan Active Global Aggregate Bond in vantaggio dopo 4 mesi
Ma come ho scritto all’inizio JPM ha avviato il laboratorio ETF a strategie attive nel 2023 con uno strumento Global Aggregate Bond. Nel confronto con SPDR Global Aggregate Bond, tradizionale ETF passivo, JP Morgan dopo quattro mesi si porta a casa un vantaggio di 15 punti base di performance nonostante costi (0,3%) superiori di 20 punti base rispetto all’ETF di SPDR. Va ricordato che l’ETF ha l’obbligo di possedere almeno la metà di patrimonio investito in titoli che rispondono ai criteri ESG stabiliti dall’emittente.
Scarsa purtroppo la documentazione disponibile in questa fase di lancio, ma entrando nel sito dedicato scopriamo che sono oltre 160 i titoli in portafoglio con la presenza anche di emittenti emergenti come la Cina. L’esposizione geografica vede gli Stati Uniti al 45% seguiti da Francia (8%), UK e Italia al 7%. Da buon aggregate bond trova spazio l’11% di carta emergente in valuta forte e locale, il 21% di corporate investment grade, zero high yield e il resto viene spalmato su governativi sviluppati e parastatali. Il rendimento a scadenza dell’ETF a fine gennaio era del 3.7% lordo.
Prematuro giudicare questi ETF attivi dopo pochi mesi dal lancio e lo stesso vale per i nuovi ETF azionari. Certamente JPM sembra decisa a sfidare gli ETF passivi su un terreno finora minato per la gestione attiva. Quello di battere un benchmark. Fra qualche mese torneremo a vedere se l’impresa sta riuscendo e se finalmente gli attivi potranno liberarsi dall’incubo del dominio passivo.