Cosa sta succedendo al mondo degli ETF Clean Energy? Adorato fino a poco tempo sull’onda emotiva del cambiamento climatico e delle opportunità che le nuove politiche green della UE avrebbero creato nel settore, molti investitori si sono fatti ammaliare da ETF che promettevano di cavalcare l’onda green con tassi di crescita spettacolari negli utili societari.
Non è andata esattamente così con il mix micidiale di aumento dei costi di produzione, aumento dei tassi di interesse e calo nel prezzo di alcune materie prime non green concorrenti, ha affossato un settore alle prese anche con i primi fallimenti e crisi aziendali.
L’Eldorado promesso non sembra tale e digitando sul motore di ricerca di justETF la parola "clean" vengono fuori 9 prodotti quotati in Europa che nell’ultimo anno hanno realizzato performance che vanno dal “miglior” -22% di L&G Clean Energy, al -46% di Global X China Clean Energy.
Nel mezzo pezzi da novanta del firmamento ETF come lo storico iShares Clean Energy che a 3 anni vanta una performance del -48% pur rimanendo ampiamente positivo rispetto ai valori di 5 anni fa.
Clean Energy: le cause delle differenti performance
Osservando proprio le performance a 3 anni ci accorgiamo che la differenza tra il fondo di L&G e quello di iShares è abissale, oltre 20 punti percentuali a favore di L&G. Come mai?
Intanto cominciamo dagli indici. Solactive è l’indice replicato da L&G contro S&P replicato da iShares.
Superficialmente è difficile riuscire a definire bene le differenze. Dal KID di L&G scopriamo ad esempio che “l’Indice è concepito per offrire esposizione a società quotate in borsa operanti attivamente nella catena del valore del settore mondiale dell’energia pulita. Per "catena del valore" si intendono tutte le attività che creano valore nel settore dell’energia pulita globale, dall’estrazione delle materie prime fino alla produzione di prodotti completi”. Ovviamente le società che ambiscono ad entrare nel paniere devono rispettare tutti i criteri ESG stabiliti dall’emittente.
iShares sta anch’essa sul vago: “L'Indice è ideato per fornire esposizione alle principali società quotate operanti nel settore dell'energia pulita a livello globale, sia nei mercati sviluppati che in quelli emergenti ed è ponderato per la capitalizzazione di mercato”. Anche qui criteri ESG con un cap massimo al numero di società presenti nel paniere pari a 100.
Entrando nelle schede mensili scopriamo qualcosa di più. L’esposizione geografica ad esempio. Per L&G il primo paese è il Giappone con il 19% di peso seguito dagli Stati Uniti con il 18%, poi Spagna e Francia. Non presente la Cina.
Per iShares la Cina è il secondo mercato con il 15% dietro agli States con il 36% e davanti alla Danimarca 10%. Poi India e Brasile al 5%. Qui il peso emergente è decisamente importante e spiega già in buona parte il motivo della sottoperformance.
A livello settoriale per iShares le utility pesano per quasi la metà del portafoglio, mentre per L&G il 37%, superate da industriali con il 43% contro il 26% di iShares. Decisamente più concentrato nelle top ten del portafoglio l’ETF di iShares (First Solar primo titolo con 8%), mentre L&G appare più diversificato con Solaria Energia al primo posto con il 4% di peso.
Due ETF quindi uguali nel nome ma molto diversi nella sostanza. iShares Global Clean Energy paga la presenza di molte società emergenti ed una concentrazione settoriale notevole sulle utility. Elementi che non si ravvisano, se non in modo più sfumato, su L&G.
Se il futuro sarà del Clean Energy le valutazioni indubbiamente appaiono oggi particolarmente interessanti. Ma come ben sappiamo questa non è una garanzia di ripresa immediata.