Le materie prime continuano a regalare delusioni se le prendiamo in senso aggregato confrontandole con altre asset class. Tanto bene l’oro, tanto male petrolio, metalli e agricole.
I motivi sono vari e non è questo l’articolo giusto per spiegare come mai un’asset class che avrebbe dovuto rappresentare un tassello essenziale nella lotta all’inflazione si è rivelata invece profondamente deludente, almeno nell’adempiere a questo compito.
Gli ETF che investono in materie prime hanno avuto un aumento di interesse da parte degli investitori proprio nel 2022 quando l’inflazione ha cominciato a mordere, ma in realtà le stesse case di investimento non hanno mai creduto più di tanto in prodotti spesso inefficienti e gravati da complessità di replica degli indici (e di costi) non indifferenti. E ora che il mini rally si è già sgonfiato cominciano ad arrivare le notizie di chiusura di alcuni di questi ETF.
Invesco Commodity Composite UCITS ETF viene ritirato, resta il Bloomberg Commodity ETF
Come quella arrivata da Invesco che ha annunciato il ritiro dal listino di Invesco Commodity Composite UCITS ETF Acc (LGCU) lanciato nel 2011 ma mai entrato nelle grazie degli investitori visto che le masse amministrate non hanno mai superato i 50 milioni di euro.
L’ETF, il cui indice di riferimento è il Solactive Commodity Composite Index, aveva spese correnti di 0,4% per anno con 0,35% di commissioni di swap.
Il prodotto ha mostrato nella sua storia anche problemi gestionali. Osservando la tracking difference, ovvero la differenza tra rendimento dell’ETF e del benchmark, scopriamo che i costi non sono stati minimamente recuperati negli ultimi 12 mesi con un ritardo di oltre 70 punti base accumulato dall’ETF. Differenza che a distanza di 3 anni si amplia addirittura a quasi 400 punti base che diventano 700 a distanza di 5 anni.
La composizione dell’indice era abbastanza equilibrata considerando quanto questi indici sono soggetti spesso a concentrazioni. Il petrolio pesava quanto l’oro (15%), con soia, rame e argento a seguire tra 8% e 6%.
Se rispetto al suo benchmark il gestore non ha svolto un buon lavoro, rispetto ad altri ETF che investono in commodity in realtà questo gestore ha fatto molto bene, a conferma di quanto importante possa risultare la politica di gestione quando si approcciano prodotti passivi di questa asset class.
Se rimaniamo infatti in casa Invesco e confrontiamo l’ETF oggetto di chiusura con quello ben più capitalizzato da oltre 2,5 miliardi di euro, scopriamo che quello con maggiori masse (e che replica l’indice Bloomberg Commodity TR) a distanza di 3 anni perde quasi 8 punti percentuali rispetto all’ETF archiviato, a 5 anni addirittura 17 punti (grafico dell'Invesco Bloomberg Commodity ETF).
Se la scelta di Invesco è una decisione da interpretare in senso contrarian lo scopriremo presto.
Al momento andare lunghi di commodity non si è rivelato un affare e il paradosso è che la casa di gestione chiuderà un ETF piccolo ma performante, concentrando le sue attenzioni su un altro ETF ben più capitalizzato ma dalle performance peggiori. Anche questo è il mondo degli ETF dove l’antieconomicità gestionale impone scelte drastiche.