Come si sospettava, il Giappone negli ultimi tempi è intervenuto per sostenere lo
yen. Adesso è arrivata l'ufficialità dal governo nipponico, che ha confermato la sua azione nel periodo tra il 26 aprile e il 29 maggio, con una
potenza di fuoco record da 9.800 miliardi di yen, pari a circa 62 miliardi di dollari. Tuttavia, gli operatori ritengono che la prima irruzione nei mercati valutari sia avvenuta il 29 aprile, poiché quel giorno lo yen è precipitato a 160,04 nei confronti del dollaro USA e in maniera repentina ha invertito il suo corso, salendo fino a 154,52 per dollaro durante la seduta. Nei giorni successivi il cambio
USD/JPY è arretrato ancora fino a un minimo di 151,86.
L'effetto però è stato fugace, perché poi il "ninja" ha ripreso a salire chiudendo l'ultima settimana di contrattazione sui mercati valutari intorno a 157. La dinamica non è stata molto diversa da quella di settembre e ottobre 2022, quando il governo è intervenuto per la prima volta dopo 34 anni. Allora ci sono state due prese di posizione: la prima volta allorché l'USD/JPY ha superato quota 145; la seconda quando ha scavalcaro la soglia di 150. Le autorità del Sol Levante hanno utilizzato le loro riserve valutarie per circa 9.200 miliardi di yen due anni fa, ma i risultati si possono vedere oggi nella persistente debolezza dello yen.
Yen: la rinascita è tutta nelle mani della BoJ
Sembra appurato quindi che
gli interventi diretti sul mercato valutario non producono gli effetti sperati, se non in via temporanea. Il ministro delle Finanze giapponese Shunichi Suzuki ha ripetutamente sostenuto la necessità di agire, se i bruschi movimenti valutari iniziano ad avere un impatto su famiglie e imprese. La strada però non è quella, rilevano gli osservatori, che ritengono fondamentale un cambiamento radicale di approccio, ancora troppo accomodante, da parte della
Bank of Japan per rafforzare lo yen.
Tuttavia, gli analisti riconoscono che
la Banca centrale si trovi davanti a un grande dilemma, in quanto i consumi in Giappone rimangono deboli e alzare i tassi di interesse anzitempo potrebbe risultare controproducente. La BoJ quest'anno ha già fatto una mossa significativa, uscendo dal regime di tassi negativi che durava da otto anni e adottando una linea più flessibile nel controllo dei rendimenti sui titoli di Stato. Tuttavia, ciò non è stato sufficiente, perché comunque il governatore
Kazuo Ueda ha sempre ribadito una linea fondamentalmente accomodante.
Secondo Masamichi Adachi, economista di UBS, "sarà difficile per le autorità portare lo yen al rialzo, a meno che gli investitori non pensino che i tassi di interesse inizieranno seriamente a salire". Questo per Adachi significherebbe un incremento del costo del denaro di oltre un punto percentuale, il che risulterebbe "insostenibile a causa della debolezza della domanda interna generata dall'aumento dell'inflazione".
All'inizio della scorsa settimana, il vice governatore della BoJ, Shinichi Uchida, ha lanciato messaggi da falco, affermando che la battaglia contro la deflazione è vicina alla fine grazie ad aspettative di inflazione al 2%. Il mercato però considera questo ancora troppo poco affinché possa pensare a un'inversione netta della debolezza dello yen.